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La meritocrazia americana spiegata bene a chi non la capisce

politica stati uniti Apr 08, 2021

 

Piero Armenti, [email protected] 

Iniziamo da un paradosso.

Il paradosso dell'uguaglianza

Un giorno dividiamo la ricchezza esistente tra tutti gli abitanti in maniera egualitaria, in modo da realizzare un desiderio di equità con cui ci confrontiamo continuamente. Poi lasciamo che ognuno faccia le sue scelte con i soldi che ha a disposizione, aspettiamo dieci anni, e vediamo cosa accade? Ve lo dico subito io. La società egualitaria che ci eravamo immaginati diventa di nuovo diseguale.

Qualcuno avrà speso bene i suoi soldi, magari avrà fatto qualche investimento, avrà accumulato ricchezza, utilizzando il suo tempo per guadagnare di più,  e altri magari no, avranno sperperato tutto, saranno tornati al punto di partenza. Questo esempio teorico, semplice e accessibile a tutti, ci fa capire una cosa: che qualunque sforzo si faccia per riequilibrare la ricchezza, dopo un po’ torniamo al punto di partenza, e questo perché ogni individuo sceglie per conto suo come condurre la propria vita. È l’eterna storiella della cicala e della formica, per cui ci sarà chi decide di risparmiare e investire, chi di sperperare.

La questione è complessa chiaramente, perché spesso le condizioni di partenza non sono le stesse. Nascere in una famiglia ricca garantisce quasi sempre una migliore istruzione e un più facile accesso alla ricchezza, invece chi nasce in famiglie disastrate e periferiche avrà sicuramente più difficoltà a migliorare lo status quo. E questa diseguaglianza di partenza è molto evidente negli Stati Uniti in cui le minoranze (afroamericani o nativi americani su tutti) rimangono impigliate in un circolo vizioso da cui è difficilissimo emergere: nasci in una famiglia povera, spesso frantumata, e continui a condurre la tua vita ai margini della società.

Da qui nascono i problemi: in una società aperta teoricamente tutti possono emergere, ma nascere con un determinato colore della pelle, o in particolari condizioni di povertà può limitare questa possibilità, e questo porta a risentimento, senso di ingiustizia, e anche odio verso le istituzioni. Da qui la richiesta politica di maggiore uguaglianza sociale.

 

Differenza di base tra repubblicani e democratici

Quando in America vincono i repubblicani il ragionamento che si fa è questo: non importa quali siano le condizioni di partenza, se t’impegni puoi farcela.  Il che è in parte vero, e in parte falso. Sicuramente è un messaggio giusto da dare se sei un professore o un genitore, del tipo impegnati e vedi che ce la fai. Ma se consideriamo i grandi numeri non è esattamente così: le condizioni di partenza contano.  Molti di coloro che nascono nell’emarginazione avranno meno opportunità di benessere, una salute più precaria, superiore rischio di obesità, la tendenza a perdersi tra droghe, alcol, e in futuro maggiori probabilità di finire in carcere, oltre a risultati scolastici peggiori. Certo ci sono fasi storiche di espansione dell’economia in cui il benessere è così diffuso, che ci sono opportunità per tutti, mentre quando l’economia è stagnante tutto si complica, in ogni caso possiamo concordare su un punto: se nasci povero sei penalizzato, ma è meglio esser povero in un paese con un’economia vivace e una società aperta perché hai più opportunità di emergere. Per questo i disperati di tutto il mondo (in parte io mi includo tra questi) vengono a New York: perché c’è un’economia dinamica e puoi trovare occasioni di vita che non troveresti altrove.

 Quando vincono i democratici il ragionamento è un altro: riconosciamo le tue condizioni svantaggiate di partenza, per questo lo Stato ti aiuterà a vivere meglio, e tenterà di rimuovere questi ostacoli. Una cosa nobile sicuramente. Tuttavia, anche se questa sembra la soluzione più ragionevole, cioè che lo Stato aiuti i bisognosi, bisogna anche ammettere che i risultati sono al di sotto delle aspettative. Per quanto lo Stato voglia aiutare i settori emarginati, quest’ultimi non vengono messi nelle condizioni di provvedere a se stessi, ma rimangono per sempre incastrati in un circolo vizioso assistenzialista: dipenderanno dagli aiuti statali, e così faranno i loro figli. Bisogna chiedersi come mai nonostante i tanti aiuti, le tante leggi a favore, ci siano ancora tante sacche di emarginazione negli Stati Uniti. Forse perché è inevitabile l’emarginazione anche nella società contemporanea? La verità è che la povertà e l’emarginazione sono fenomeni culturali innanzitutto, figli di strutture familiari disastrate, di squilibri psicologici,  di mancanza di riferimenti educativi giusti. Manca insomma tutto quell’ecosistema di riferimenti che permettono al bambino poi adolescente di diventare un adulto responsabile. Non è una questione di miseria economica ma di povertà culturale che si tramanda. Padri assenti, magari alcolisti, e madri in perenne difficoltà, vicini problematici, malattie mentali. Se avete visto il film Elegia Americana sapete di cosa parlo. Allora l’intervento dello Stato può essere utile fino ad un certo punto, ma non è determinante perché i lacci che ti tengono legato alla miseria sono troppo forti e resistono a qualsiasi tentativo dello Stato di slegarli. Non può una legge sostituire la figura paterna.  Inoltre se inizi a chiedere allo Stato sempre più soldi per risolvere i sempre crescenti problemi sociali, ti ritroverai ad avere una tassazione in costante aumento. La tassazione elevata, anche se giustificata a fin di bene, crea una sfiducia nel sistema da parte del ceto produttivo e dei lavoratori che si sentono defraudati, allo stesso modo in cui si sentirebbe defraudata la cicala se venisse privata di qualcosa per darla alla formica sprecona. Perché dovrei pagare più tasse io che mi sono fatto il mazzo per emergere? Perché dovrei essere punito io che sono stato cicala a favore di te che sei stato formica. Anche questa argomentazione, infatti, è ragionevole: l’America funziona meglio se continua a premiare chi s’impegna e s’arricchisce, non a penalizzarlo.

Ma alla fine che tipo di Stato preferiamo?

 Tutte queste analisi entrano costantemente in gioco quando si vota, e sono alla base delle scelte politiche finali. Se siete per uno Stato che redistribuisce le ricchezze avrete una tendenza liberal o di sinistra, se preferite meno tasse e più libertà sarete repubblicani o di destra.  Non sono le uniche ragioni su cui si fonda il voto: a volte si decide per affinità culturale o religiosa, come i cristiani che votano repubblicano, altre per appartenenza e tradizione familiare. Chi è preoccupato per i diritti civili voterà più facilmente democratico. Chi è contro le armi voterà democratico, chi è contro l’aborto voterà repubblicano. Le metropoli votano piu' liberal, le zone rurali piu' repubblicano.  Insomma le varianti sono diverse, ed entrano tutte in gioco per la decisione finale, compresa la simpatia del candidato. Però in genere la questione economica è  quella più importante, perché tutti sappiamo che la libertà di guadagnarci il pane è la libertà principale, quella biblica dell'origine del mondo. Adamo ed Eva lavoreranno con sudore. Che tipo di Stato vogliamo? Uno che  interviene per sussidiare i settori più poveri sottraendo ricchezza al ceto produttivo, o uno in cui lo Stato interviene meno, e lascia libero il cittadino di guadagnarsi la pagnotta.

 In un sistema come quello americano dell’alternanza il risultato è semplice: a volte vince un orientamento a volte un altro, ed è così dall’origine della democrazia americana.

L'eredità crea diseguaglianze, ne possiamo fare a meno?

Passiamo invece ad un punto importante: chi eredita le ricchezze, e non se l’è meritate, merita la nostra approvazione sociale o possiamo sottrargli una parte delle ricchezze? Se tutti infatti siamo disposti a premiare chi, con intelligenza, riesce a migliorare la propria posizione di partenza, perché dovremmo tutelare chi l’ha ottenuta senza sforzo tramite l’eredità. Non è un caso se molti americani milionari preferiscano non lasciare l’eredità ai propri figli, o ridurla in maniera sostanziosa, perché ne avvertono l’ingiustizia di fondo. Uno tra tutti è Bill Gates, che ha deciso di lasciare ai suoi figli molto meno di quanto spetterebbe loro, circa dieci milioni ciascuno. Certo non sono pochi soldi, ma rispetto a quelli che ha Bill Gates sono niente. Tuttavia, anche l’eredità è giusta ed ha un senso.  Pensiamo all’immigrato che si è spaccato la schiena, magari ha aperto una pizzeria, poi due o tre, ha comprato la casa ai figli, ed è riuscito a creare una piccola rendita per loro. Possiamo criticare il desiderio di un genitore di provvedere al benessere futuro dei propri figli? Di certo no, perché uno dei motori che spinge a fare, è quello di farlo per i propri figli. Come avviene in Italia dove le famiglie risparmiano fino all’osso pur di lasciare ai figli una casa in eredità. Se abolissimo l’eredità, nessuno sforzo avrebbe senso. Se da un lato l’eredità crea risentimento da parte di chi questa fortuna non ce l’ha, dall’altra spinge milioni di persone ad impegnarsi per il futuro della propria progenie, e indirettamente crea ricchezza collettiva. Ricordiamolo: la società funziona meglio se mettiamo in condizione ogni singolo individuo di dare il meglio di se, sotto la promessa di un profitto e del benessere. L’eredità però crea anche forti diseguaglianze, anzi tende a farle perdurare, ed è per questo che di tanto in tanto qualcuno vuole tassarla pesantemente. Ma è tassare la soluzione giusta? È la mentalità dello stato regolatore che interviene su tutto, dell’iperburocratizzazione della società un modello giusto?  Ho i miei dubbi.

Come la penso io

Come la penso io?  La società nel suo complesso funziona meglio se tutti danno il massimo, quindi vale la pena organizzare la società in modo tale da lasciare il cittadino libero di trovare il proprio cammino di vita, e garantire un futuro migliore per sé e per i suoi figli, senza troppi lacci e lacciuoli. Se uno vuole gettare al vento la propria vita è libero di farlo, ma poi non dovrebbe lamentarsi con gli altri. Questo patto sociale meritocratico crea diseguaglianze inevitabili che è difficile gestire, soprattutto se sono frutto di condizioni di partenze diverse, e quindi un intervento in qualche modo dello Stato nei settori più poveri è inevitabile oltre che moralmente giusto, soprattutto un intervento di tipo educativo, o di sostegno al reddito. Da questo nasce la tassazione progressiva, cioè più guadagni più deve essere maggiore il contributo alla società, a patto però che non sia eccessiva da apparire penalizzante. L’equilibrio tra libertà individuale e giustizia sociale è sempre molto complicato, ma la democrazia dell’alternanza, quando funziona, garantisce il miglior risultato possibile.

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