Piero Armenti, [email protected]
Sono del Sud, e sono dovuto emigrare, ma a questa cosa non ho mai dato nessun peso, non me ne sono mai lamentato particolarmente. Quando iniziavano le conversazioni sul nostro misero destino di meridionali derubati storicamente, io mi allontanavo. Non perché fosse falso, solo che non volevo partecipare a questa liturgia autoassolutoria. L’ho capito abbastanza presto nella vita: se vuoi combinare qualcosa d’importante non devi dare peso né al passato né agli altri, ma concentrarti sul futuro, l’unica dimensione che conta. Il destino va scritto sempre e comunque contro le avversità, perché ci salviamo da soli. Lo sanno bene coloro che emigravano secoli fa, e in America costruivano la propria vita, senza sapere la lingua, con la forza del sudore. Sono loro i miei esempi: lamentati poco, fai molto. Mi considero un cosmopolita dalla nascita, e il passato, svantaggi e vantaggi, non contano più nulla.
Non è scontato arrivare a questa consapevolezza, cioè che le condizioni di partenza non hanno peso, perché l’animo umano è incline a trovare scuse per scaricare le nostre responsabilità su soggetti terzi. Scarichiamo le colpe nostre sulla storia, la razza, il popolo, la famiglia, il maestro, il sesso, l’immigrato, il ricco. Non ho combinato niente nella vita? Non è colpa mia, è colpa di Garibaldi. Ma io a questa deresponsabilizzazione ho sempre opposto un rifiuto netto, perché è un cammino troppo semplice da percorrere che porta al punto di partenza: intrappolarti nella miseria che ti ha generato sprecando la tua vita.
È meglio dimenticare tutto, come nelle guerre civili centroamericane. Si erano scannati tra famiglie, poi decisero di fare pace, e si dimenticarono il passato. C’erano alternative a questo? No. Bisogna dimenticare il passato per ripartire. Il futuro è una tabula rasa in cui costruire la nostra traiettoria di vita. Fino a 19 anni non ho mai avuto una stanzetta tutta mia, ero felice di questo? No. Ora amo vivere da solo in una casa con due stanze da letto e due bagni con vista su Manhattan. A questo serve il passato: ti lancia delle sfide, tu le raccogli, e poi col tempo le vinci, o almeno ci provi. Deve essere uno sprone a fare meglio, il passato, solo questo, per il resto meglio coltivare l’oblio.
E poi c’è un altro problema, e riguarda la nostra visione del mondo. Diamo troppo peso alle cose negative, e siamo distratti al punto da non vedere le occasioni attorno a noi. Per esempio, avete mai riflettuto sulle grandi opportunità dei social media per chi voglia iniziare a fare impresa? O sul fatto che i nostri nonni e bisnonni si sono fatti due guerre mondiali, mentre noi abbiamo vissuto la pace e il benessere. Abbiamo mai ringraziato il nostro destino perché abbiamo tre pasti al giorno assicurati, mentre in molte parti del mondo non è così.
Inutile chiudersi dentro una retorica disperata e catastrofista dello “Stato è assente, non c’è lavoro” e incolpare Garibaldi dei fallimenti, lamentarsi continuamente di un destino cinico che non ci ha fatto nascere ricchi o benestanti. Guardiamo i lati positivi, guardiamo ciò che abbiamo. Perché il rischio è non emanciparsi da un pensiero ottuso, devastante quando sei in una società del benessere, dei consumi, e delle comunicazioni. Siamo tutti dentro un privilegio storico: viaggiamo facilmente, comunichiamo all’istante, e abbiamo accesso a una quantità d’informazioni impensabile in ogni altra epoca storica. A queste condizioni avere come massima aspirazione un posto statale, vicino casa, è avvilente. Perché se il nostro passato ci ha ferito, la nostra terra è stata martoriata, e vogliamo un vero riscatto dobbiamo fare una sola cosa: avere coraggio. Provare ad emergere, in un "All In" da giocatore di poker consumato.
La battaglia è culturale, va fatta nelle scuole dicendo ai ragazzi: credete in voi stessi, provateci, fate della vostra vita un capolavoro, non accontentatevi, e anche se siete nati in situazioni di svantaggio, non arrendetevi. Cose che in realtà si dicono anche, ma non bastano parole. Bisogna rispondere con i fatti, bisogna essere d’ispirazione per gli altri.
Mostrare con il proprio cammino di vita le enormi possibilità di riscatto, indipendentemente dal sesso in cui nasci, dal colore della pelle, o dalla collocazione geografica. Ed è per questo che andare dall’altra parte dell’Oceano e provare a fare qualcosa d’importante per me ha significato anche lanciare un messaggio verso chi mi guarda. Non solo dire astrattamente voglio andare in America, ma farlo. La differenza è immensa, e ci passa un mare (esattamente come tra il dire e il fare). Perché chi ci crede va fino in fondo senza fermarsi, contro le avversità e contro il parere degli altri. Se ascolti gli altri, vinti dalla vita, sarai per sempre un vinto anche tu.
Questo direi ai miei alunni di una scuola di Pastena se fossi un professore: siate artefici del vostro destino. Sia chiaro l’impegno civile è commovente, chiedere giustizia è importante, ma non bisogna incatenare la propria vita (che è una sola) alla sensazione che tutto sia inutile perché siamo senza speranza. Il punto è questo: il luogo in cui siete nati, la famiglia, il colore della pelle non l’avete scelto voi, e quindi è inutile pensarci troppo. Solo grazie a questa consapevolezza si può migliorare la propria condizione, e indirettamente aiutare la propria terra d’origine. Allora è importante ribadirlo: il vostro futuro non è stato scritto, non esiste un copione da seguire.
Non importa quali siano le tue condizioni di partenza (alto, basso, bianco, asiatico, meridionale, tedesco), tanto ci sarà sempre chi sta peggio e chi sta meglio di te. L’unica cosa che puoi provare a fare nella vita è risollevarti con le tue forze. Punto. Non bisogna aspettare un riscatto collettivo quasi biblico, perché non arriverà nessun Mosè a dividere le acque e indicarvi il cammino.
Da figlio del Sud Italia non posso aspettare il giorno in cui apparirà magicamente il lavoro, il benessere e la felicità, mentre sto al bar vivendo la mia triste condizione di sconfitto. Devo reagire, coltivare il mio orticello di felicità. Se la città in cui siete nati vi fa cagare, andate altrove. Ma andateci davvero, non state a lamentarvi continuamente senza cambiare nulla.
Prendetela questa valigia, fatela, ciao mamma io parto, e via, gettatevi nelle rapide della vita. Non c’è lavoro vicino casa? Ok parto senza fare troppe chiacchiere. D’altronde non c’è scritto da nessuna parte che il lavoro sia all’angolo di casa. I tuoi genitori non ti hanno dato una bella eredità, pazienza ti costruirai la tua ricchezza da solo, senza stare ad invidiare l’amico che ce l’ha. Per me questo è l’atteggiamento che dà i risultati migliori nella vita, perché l’altra alternativa sarebbe lamentarsi costantemente, soprattutto sui social, senza renderci conto che il tempo sprecato a lamentarci lo potremmo utilizzare per costruire qualcosa di utile nella vita. Insomma se passasse questo messaggio, cioè se tutti utilizzassero le proprie energie mentali non solo a recriminare per passato, ma a costruirsi il futuro, avremmo milioni di intelligenze che si muovono all’unisono verso il miglioramento individuale, e quindi collettivo. Allora, solo allora, potrà avvenire il vero riscatto del Sud (o degli afroamericani negli USA), non attraverso il Messia che ci salva e che non arriverà mai.
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