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Vi spiego perché le lauree umanistiche hanno valore, e l'errore fatto da Gucci e Prada

cultura aziendale Mar 02, 2021
 

Piero Armenti, [email protected]

Mentre facevo un dottorato in cultura dei paesi ispanoamericani, la domanda che più mi metteva in difficoltà era la seguente: ma tu a cosa servi? A cosa servi alla società. La sensazione è che mi dovessi difendere dall’accusa di essere uno spreco di risorse ed energie, senza avere alcuna utilità per nessuno.

E tutto questo per una borsa di studio percepita di mille euro al mese. Certo provavo a difendermi dicendo che non servirò come un idraulico quando si rompono i tubi, o un medico quando stai male. Che forse un’utilità immediata non la si vede, ma sono una piccola goccia nel mare in quell’enorme tentativo dell’umanità di comprendere il mondo che siamo.

Io ci provavo a modo mio a spiegarlo, indagando l’America Latina, qualcuno negli Stati Uniti avrebbe studiato il Rinascimento, qualcuno in Germania avrebbe studiato l’Impero Romano. Non c’è un’utilità specifica, ma un’ utilità collettiva. D’altronde quando vedete un bel documentario sull’Antica Roma, lo potete fare grazie a tante persone “inutili” che hanno studiato, analizzato, e fatto ricerca su quell’argomento. E comunque è inutile trovare un'utilità alle singole persone: siamo organizzazioni complesse in cui ogni piccolo compito, apparentemente irrilevante, contribuisce al benessere collettivo.

 Insomma quando alla fine mi chiedevano cosa facessi nella vita, questo è quello che dicevo: cerco di dare risposte alla sete di sapere dell’umanità.

Un’altra accusa da cui mi dovevo difendere è che noi dottorandi fossimo gente fondamentalmente incapace di fare altro, con la vocazione dei mantenuti dal sistema.  In realtà non era vero, ma non bastava che io lo dicessi a parole, dovevo dimostrarlo.

Per rispondere a quest’accusa ho dovuto lasciare l’accademia, andare dall’altra parte del mondo, fondare un’impresa di turismo, e dall'alto di questo percorso di vita la mia risposta è che non è così. Almeno nel mio caso. 

Ci sono molti luoghi comuni sui laureati o dottori in lettere o discipline umanistiche, la verità è che molti di loro hanno fatto ottime carriere in azienda, non tutti ambiscono a fare gli insegnanti. In un mondo interconnesso, le conoscenze culturali e linguistiche sono equivalenti a quelle economiche, informatiche o finanziarie. Insomma sono utili nel senso classico del termine: dentro una struttura aziendale complessa.

Eppure ce ne dimentichiamo, e in due occasioni mi sono detto: se Prada e Gucci avessero assunto un laureato in studi americani, queste figuracce non l’avrebbero fatta. 

Le figuracce di Prada e Gucci

Vi racconto la storia. Negli Stati Uniti le tematiche razziali sono importanti, e in genere tutto ciò che  ruota attorno alla “diversity” o inclusività è un argomento sensibile. Sia nell’organizzazione aziendale, perché si vive in un ambiente di lavoro "diverso" , sia nell’approccio col cliente. Una battuta fuori luogo sul posto di lavoro può costare caro, ed è molto probabile che tipi particolarmente giocosi e con la battuta pronta abbiano vita difficile in un contesto aziendale americano.  Mentre coloro che hanno una sensibilità umanistica, diventino una risorsa necessaria. 

Sia ben chiaro, la sensibilità non dipende dal titolo di studi, ma dalla capacità di osservare il mondo, e da una buona dose d'umiltà, e queste caratteristiche possono averle tutti, indipendentemente dal titolo di studi. Ma in genere chi ha fatto certi percorsi di studi le ha coltivate meglio.

 Questi due marchi hanno fatto errori grossolani, dando la sensazione di ignorare il contesto, e prendendosi una bella tirata di orecchie.

Iniziamo da Prada, che ha lanciato sul mercato un portachiavi da 750 dollari, che poteva sembrare carino, ma è caduto nella trappola di essere una classica riproduzione di una “blackface”, che è una pratica considerata razzista negli Stati Uniti.

Di cosa si tratta? In Italia si sa poco cosa sia il blackface, perché non è parte della nostra storia. Ma era l’usanza teatrale dei bianchi americani di dipingersi la faccia di nero, da cui quindi emergevano queste labbra grandi rosse, ed era un’usanza razzista, perché gli afroamericani venivano stereotipati.

Chiunque viva negli Stati Uniti sa che su questi temi bisogna stare attenti, e non si scherza. Com’è possibile, mi sono chiesto, che nessuno da Prada se ne sia accorto prima? A nessuno è venuto il dubbio? Eppure in quanto azienda di moda dovrebbe avere all’interno alte conoscenze culturali. Pensai ok, un errore può succedere a tutti.

Ma poi cadde nello stesso tranello anche Gucci, che è un marchio ben più famoso di Prada. Hanno prodotto degli scaldacollo accusati anche in questo caso di blackface.

Possibile nessuno se ne sia accorto? E non conta dire noi siamo italiani, potevamo non saperlo. Perché questo è il punto: sei sul mercato americano, la sensibilità è diversa. Ok sono incidenti di percorso, basta ritirare il prodotto dal mercato o chiedere scusa, e si va avanti. Non c’è stato un crollo del fatturato. Eppure evitarlo sarebbe stato meglio, di certo non è bello per un’azienda essere accusati di razzismo. Provate voi a immaginarvi a capo di un'azienda, e trovarvi su tutti il giornali per un caso di razzismo. E' qualcosa di cui fareste volentieri a meno.

Allora torniamo alla domanda inziale, le lauree umanistiche hanno quell’unico senso che non riusciamo a vedere nell’immediato, ti aiutano a navigare nel contemporaneo, fatto di luoghi e sensibilità differenti, frutto del sedimentarsi della storia.  I numeri hanno qualcosa di universale, la cultura è particolare. La cultura slava ha peculiarità, quella giapponese ha peculiarità, quella americana anche. Chiunque voglia andare nel mondo con i propri prodotti, avrà bisogno di un esercito di persone con la sensibilità umanistica, per capire qual è la giusta rotta da prendere. 

Quindi il mio consiglio agli imprenditori che vogliono esportare all'estero è il seguente: investite sui laureati in discipline umanistiche.

 

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